
Il tappeto del mondo

Giocavo sul tappeto del mondo.
Succedeva all'inizio di ogni estate, quando la finestra dei sogni mi aspettava per sentirsi raccontare di nuove esplorazioni. Dovevo entrare nello spazio familiare, ma non quotidiano della casa di campagna ed iniziare a fiutare la diversa consistenza dell'aria, fino a leggerne, non solo con le narici, ma anche con gli occhi, la trama colorata fatta di sapori robusti, nitidi, distinti.
Iniziava, così, quella sorta di infantile miracolo laico che profanava la consapevolezza adulta della realtà. C'era gioia intorno, un condensato morbido che avviluppava tutto, anche gli oggetti.
Mi arrampicavo veloce per abbracciare quella cornice di legno dipinto aperta sul tutto, capace di inquadrare ogni volta diversi scenari abitati da figure in trasformazione.
Guardavo oltre i limiti della vista sensibile e trovavo tesori.
C'erano pianeti color melanzana e sabbie rosse pomodoro; astronavi doppie come grandi arachidi che attraversano un cielo nero mirtillo e, ancora, stelle senza punte, ma con ciuffi fosforescenti di carota che solleticavano asteroidi di passaggio, e fiori celesti entro le cui corolle era bello potersi riposare.
Un soffio di vento portava altrove, tra cammelli senza gobba e orsi arcobaleno, elefanti di gomma e giraffe ad altezza d'uomo.
Vagavo tra cielo e terra, oltre ogni confine. Ero in una stanza aperta in cui il mondo entrava e si posava a terra, lasciando che il mio corpo e la mia mente si spingessero altrove. Un tappeto di vie, strade, lampioni, case, cancelli, macchine prendeva luce dalla finestra aperta sull'infinito.
Sono tornata davanti a quella finestra e ho visto l'interno della casa. Era ricco, vivace, malleabilmente dinamico. Tratteneva l'elegante sensibilità procurata dalle passate esplorazioni.
Ed il mio sguardo si è
fatto profondo.